Il Festival delle Sagre prende vita nel 1974 sulle ali della pura improvvisazione, da un’idea di Giovanni Borello, allora Presidente della Camera di Commercio, nell’ambito della Douja d’Or, con l’intento di conferire a quello che era essenzialmente un concorso enologico, un momento festoso di schietta allegria.
Fu in particolare l’aspetto gastronomico della sagra, la festa del paese, che sollecitò la fantasia degli organizzatori: riuscire a riunire in un giorno le più genuine specialità della cucina campagnola e proporle ai cittadini perchè riscoprissero, attraverso quei sapori resuscitati, un folklore da non dimenticare.
Il Festival era nato ed il successo non tardò ad arrivare. Si avvertì allora l’esigenza di dare anche un contenuto culturale ed una precisa identità. Si pensò decisamente di esaltare, in ogni possibile aspetto, i valori di una civiltà che si andava ingiustamente sottovalutando e di cui gli astigiani erano figli: la civiltà contadina che, complice il boom industriale, stava vivendo un momento difficile e si stava estinguendo con la conseguente perdita di tradizioni, usi e costumi assolutamente da preservare. Gli inizi furono tormentati e difficili, ma le idee degli organizzatori erano chiare e ben precise nella loro linearità e finirono per affermarsi. Fu così che, dopo quattro anni, venne istituita la sfilata che si svolge ancora oggi nella mattinata della domenica.

Nel 1988 il Festival lasciò Piazza Alfieri per approdare nella più comoda e spaziosa Piazza Campo del Palio, in cui fu possibile provare l’esperimento dell’anteprima del sabato sera. Inizialmente furono 12 le pro-loco partecipanti, l’anno dopo 24 ed il terzo anno tutti gli stand del villaggio gastronomico aprirono i battenti già al sabato sera, visto il grande successo.
Dall’edizione del 2000 si è cominciato a dare un segnale ecologico sperimentando l’utilizzo di piatti di ceramica per abolire la plastica dalla piazza. Il vero successo in questo senso si raggiunge con l’edizione 2001 in cui si utilizzeranno esclusivamente piatti di carta, posate di legno e bicchieri di vetro oltre ai piatti di ceramica che saranno utilizzati dalle tre pro-loco che avevano già aderito all’esperimento dell’anno precedente.
Ad ogni edizione la primitiva diffidenza si tramutava in comprensione, in collaborazione ed in condivisione degli obiettivi. Si può veramente affermare che anno dopo anno, con pazienza e fermezza, si è aggiunto sempre un nuovo tassello alla coreografia di una festa che ha conquistato il cuore delle migliaia di persone che giungono puntuali all’appuntamento di settembre, magari portandosi dietro qualche amico. Così la cerchia si allarga e ad Asti per il Festival delle Sagre si vedono sempre più auto con targhe di altre regioni e paesi e per le strade si sentono parlate con cadenze di molti dialetti ed idiomi.
Per rendere la manifestazione sempre più palpitante ed interessante, nel 1978 si pensò di istituire, nell’ambito del Festival stesso, un Trofeo (e successivamente nel 1992 un Super Trofeo) che ponesse in contesa fra loro le numerose pro-loco partecipanti, facendo leva, in senso sportivo e leale, sul campanilismo acceso che da sempre divide i vari paesi, allo scopo di designare la pro-loco dell’anno, la pro-loco cioè migliore, più degna di rappresentare Asti e la sua cultura enogastronomica e folkloristica. Le pro-loco che animano il Festival sono così chiamate, sotto l’imparziale giudizio di accreditate commissioni di esperti, a cimentarsi in cinque prove: la sfilata, l’allestimento dello stand, la cucina, l’accuratezza del servizio ed il rapporto fra il prezzo, la quantità e la qualità del prodotto gastronomico offerto, contribuendo, per tal via, a saldare efficacemente i due momenti fondemantali della singolare kermesse: quello dello spettacolo, della ricerca e della proposta culturale, con quello rivolto alla tutela del numerosissimo pubblico che vi accorre sempre più partecipe ed esigente.
Dall’edizione del 2004 il villaggio del Festival delle Sagre si estende a tutta piazza del Campo, offrendo maggiori spazi e comodità alle migliaia di visitatori partecipanti.
L’Ossolano è la principale espressione casearia dell’estremo nord del Piemonte, prodotto dal latte di vacche nate, allevate e nutrite esclusivamente nelle valli di Anzasca, Antrona, Divedro-Antigorio-Formazza, Isorno e nella Valle Vigezzo, entità geografiche che si aprono nella Val d’Ossola.
Il formaggio “Toma Piemontese”, formaggio prodotto esclusivamente con latte di vacca, ha origini che risalgono all’epoca romana, ma solamente documenti dell’anno mille riportano citazioni che lo identificano precisamente, figurando soprattutto nei “pastus” distribuiti ai poveri o ai lavoratori subalterni, tanto da convalidare l’ipotesi di un suo uso, almeno in questi periodi iniziali, caratteristico dei ceti popolari; pare infatti andassero per la maggiore formaggi particolarmente piccanti e detti “formaggi dei poveri”.
Il Salame Piemonte ha forma cilindrica, o incurvata per le pezzature più piccole, è compatto e di consistenza morbida che deriva dalla breve stagionatura. La fetta si presenta compatta e omogenea di colore rosso rubino. Il profumo è delicato di carne matura stagionata, di vino e di aglio. In particolare, l’aggiunta del vino derivante da uve Barbera, Dolcetto e Nebbiolo conferisce al prodotto un terroir unico e particolare.
La Robiola di Roccaverano, è un formaggio fresco sottoposto a maturazione, o affinato e per la sua produzione si adopera latte crudo intero di capra, di pecora e di vacca, proveniente esclusivamente dall’area di produzione. Le origini risalgono ai Celti che producevano un formaggio simile al prodotto attuale. Con l’avvento dei Romani il formaggio assunse il nome di “rubeola”. Ma l’importanza della “Robiola” venne evidenziata in un manoscritto del 1899, fra le notizie storiche di interesse politico: nel Comune di Roccaverano venivano tenute cinque fiere annue, durante le quali si vendevano per l’esportazione “eccellenti formaggi di Robiole”. L’alimentazione degli ovi-caprini e delle vacche è ottenuta anche dal pascolamento degli animali e dall’utilizzo di foraggi verdi e/o conservati che si ottengono dai prati e prati-pascoli ricchi di numerose piante aromatiche ed officinali. Sono proprio queste specie spontanee di erbe officinali o comunque capaci di avere qualità particolari che costituiscono un alimento di alta qualità per gli allevamenti ovini e caprini, nonché per il bestiame bovino e che con i vari profumi ed aromi fanno assumere alla “Robiola di Roccaverano” una fragranza che lo distingue da ogni altro formaggio.
Il formaggio “Raschera”, formaggio prodotto da latte vaccino, con eventuali aggiunte di latte ovino o caprino è storicamente presente nella provincia di Cuneo e richiama il nome del Lago Rascherà, nell’area prospiciente la zona del Monregalese, da cui si è diffusa la produzione del formaggio che ha conservato le caratteristiche originarie, legate ad una tecnica consolidata.
La «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte» designa il frutto in guscio, sgusciato o semilavorato della varietà di nocciolo «Tonda Gentile Trilobata » ed ha sapore finissimo e persistente e polpa croccante.
Il formaggio “Murazzano”, formaggio di latte ovino, che può essere integrato con latte vaccino, è storicamente presente nella provincia di Cuneo e richiama il nome del Comune di Murazzano che ne è il centro maggiore di produzione.

Il Castelmagno prende il suo nome dal santuario dedicato a San Magno presente nel comune omonimo. Le origini sono antichissime: le prime forme furono prodotte già nel XII secolo e il primo documento ufficiale che registra la sua esistenza è una sentenza arbitrale in cui il Comune di Castelmagno sconfitto dovette pagare in natura, come canone annuo, forme di formaggio al marchese di Saluzzo.